sabato 13 luglio 2013

Spesa Pubblica vs PIL

Uno degli argomenti del dibattito politico economico citato  per sostenere la riduzione della spesa pubblica in Italia è il seguente: dal 2001 al 2012 il rapporto  spesa pubblica/PIL è passato, in Italia dal 40 al 45% mentre in Germania dal 42 al 40%.
Si possono osservare due cose?
1 Come in tutti i rapporti la variazione può dipendere dal numeratore o dal denominatore. In questo caso credo che la pesante diminuzione del PIL italiano sia la causa principale del peggioramento del dato italiano e dimostri in realtà come la crisi dell'euro sia un sostanza un trasferimento di risorse dai paesi periferici a quelli "virtuosi"
2 La Germania ha, nel periodo considerato: nazionalizzato diverse banche accollandosene i debiti ed i titoli divenuti tossici con la crisi, ha finanziato un gigantesco programma di rottamazione di vecchie auto che è costato qualche miliardo,  ed ha finanziato la riduzione dell'orario di lavoro praticata da molte imprese nella crisi come alternativa al licenziamento.  Può essere che nessuna di queste cose sia tecnicamente spesa pubblica, però delle  due l' una:
O il dato sulla Germania  è "abbellito" e quindi non ha molto senso compararlo con quello italiano meno o diversamente abbellito da quello tedesco,
Oppure il dato è vero, ma allora è in contraddizione con la necessità del taglio di spesa pubblica perché indica che anche intervenendo pesantemente nell'economia, aumentando magari la spesa, non si peggiora ma si migliora il rapporto spesa pubblica/PIL, cioè il contrario di ciò che si vuol dimostrare

domenica 7 luglio 2013

Il caso Lituania ovvero l'austerità espansiva

Questo Post è un tentativo di dare un senso al discorso economico comune e vedere che tipo di impatto possono avere alcune politiche ritenute giuste dalla maggior parte degli attori del discorso pubblico in Italia. Penso in questo caso sopratutto ai grandi giornali di opinione ed ai loro esperti che dettano la politica economica ritenuta appunto "giusta" da più di un ventennio.
È un piccola analisi che riguarda la Lituania che sarà il prossimo paese a entrare nell'euro e ha conosciuto negli ultimi anni una crescita molto sostenuta applicando proprio quelle politiche molto popolari anche da noi. Ripeto qui non si parla di Grecia, Portogallo, Cipro, Irlanda o Italia, questa è un tentativo di critica ad un caso che si può considerare di "successo"
Vediamo i dati (trovati qui), prima di tutto il PIL:

questo grafico è noto e fa parte della discussione internazionale sulle performance economiche dei paesi baltici come metro delle politiche di austerità implementate un po' dovunque in  Europa. La linea nera mostra la crisi tra il 2008 e il 2010 e la ripresa dal 2011 in poi.
I fautori dell' austerità sostengono che questa è la prova che questo metodo funziona infatti la ripresa inizia dopo l'introduzione di misure anticrisi "montiane" anzi più che montiane direi misure di taglio della spesa pubblica sul tipo di quelle che sostengono per es. Alesina e Giavazzi  sul Corriere,  Ricolfi (proprio oggi) sulla Stampa o il gruppo di Fare per Fermare il Declino; è la famosa "austerità espansiva" appunto (in realtà il termine non è stato mai usato dagli autori che ho citato, ma lo uso io)
Ora i critici dell' austerità sostengono che i livelli pre crisi dopo due anni di ripresa ancora  non sono stati raggiunti e tra l' altro non sembra che lo saranno e questo per loro è un segnale che qualcosa non funziona.
Il punto però non è questo o meglio non è solo questo.
consideriamo il grafico sotto: andamento dei salari



come si vede se prima del 2008 i salari aumentavano del 10-20% annuo ora sono praticamente fermi (almeno sulla scala del grafico). Chiaramente in tutto questo ha un ruolo importante anche l'inflazione che è diminuita drasticamente dal 2008 al 2010 come  si può intuire dall' andamento dei consumi interni nel primo grafico, ma tenendo conto anche di questo credo si possa dire che dal punto di vista di chi ha un lavoro, "ripresa"  semplicemente significa che i salari non diminuiscono più e se prima della crisi si guadagnava 100 nel mezzo della crisi il salario è sceso a 70 ed ora è più o meno 80: 
abbastanza deprimente direi, in sostanza la ricchezza prodotta in più dal 2011 in poi non finisce nelle tasche (e nei consumi) di chi l' ha prodotta ma nelle tasche e nei consumi di altri.
Consideriamo ora la disoccupazione:



qui le cose sono ancora peggio del grafico sui salari; la disoccupazione è diminuita con la crescita ma rimane ancora più del doppio di quella del 2008 (!) e addirittura rimane costante anche quando la forza lavoro (linea nera) diminuisce tra il 2011 e 2012 (emigrazione?)
Risultato: si è ritornati a produrre ricchezza ma chi è in grado di farlo deve pagare questo privilegio con più lavoro e meno salario

Domanda: è una politica di successo?

La mia risposta è chiaramente no, anche non tenendo conto dei costi sociali altissimi di una politica del genere tra l' altro facilmente intuibili e su cui magari varrà la pena di fare un altro post.
Quello che invece si pensa in Europa della Lituania è invece di tutt'altro tenore, non a caso è stata  accettata entusiasticamente nel gruppo dell' euro, ma per questo mi serve un altro post

A presto


lunedì 1 luglio 2013

Schumpeter economista della crisi (come Marx?)

Analisi di A. Negri (si proprio lui) su Joseph Schumpeter (manifesto 21/06): il tema è interessante l'articolo ha come pretesto la pubblicazione di  una raccolta di studi su  Schumpeter, economista considerato fondamentale nella dottrina economica "moderna" (una delle rubriche più importanti dell'Economist, tanto per fare un esempio,  porta il suo nome).  Famosissima è l' idea della "distruzione creativa" del capitalismo con al centro la figura superumana (?) dell'imprenditore.  A rileggerne i saggi non è proprio così ed almeno l'interpretazione dell'imprenditore come divinità è appunto una lettura interessata di Schumpeter. In realtà l'economista formula la sua teoria come critica, prima di tutto epistemologica (che cosa sono le scienze sociali? Qual è il  loro metodo?) l' imprenditore "creatore" nasce come un tentativo di superare i limiti della scienza economica del suo tempo. 
Per Schumpeter  l'agire dell'imprenditore ha sempre un carattere conflittuale: "l' imprenditore non è un fattore di mutamento ma il portatore di un meccanismo di mutamento". 
Berlusconi? Marchionne? non credo (qui siamo alle letture interessate) si tratta piuttosto di una caratteristica "ontologica" (la parola è di Negri), una proprietà formale dell' Attore Economico. 
Tutto qui? Non proprio, Schumpeter è consapevole della crisi della borghesia, crisi, appunto, di conoscenza (e quindi è in questo senso attuale) che finisce per limitare il carattere fondante creativo che sarebbe proprio della borghesia: "il capitalismo anche quando sia economicamente stabile crea una mentalità e uno stile di vita incompatibili con le sue stesse condizioni fondamentali, con i suoi movimenti e le sue istituzioni sociali".
Discutere solo di aumenti di produttività e non di queste cose (e di molto altro) è un esempio di rimozione della politica e della società italiana ed europea di oggi